Riflessioni

Fame e appetito sono due termini che in genere tendiamo ad usare come sinonimi, ma non sono proprio sovrapponibili.

La fame è un bisogno fondamentale dell’organismo. E’ una esigenza quantitativa; la fame tende a non scegliere. La necessità di selezionare il cibo è indirettamente proporzionale alla fame che si ha.
I nostri modi di dire in questo senso sono molto espliciti e coloriti del tipo:

“ho una fame che mangerei il tavolino!!”

Proprio per dire che non c’è per niente il bisogno della scelta. E la fantasia popolare su questo tema ha una lista di variazioni su tema senza fine.

 L’appetito si esprime a livelli “più alti” se così si può dire. Si esprime sul piano della qualità. Usa la cultura e la fantasia a livelli superiori per operare una scelta che non appaga solo lo “stomaco”, ma anche la mente, la propria cultura il mondo dei ricordi e dei vissuti.
L’appetito si sofferma sui profumi, sui costrutti, vuole farci godere esteticamente e fantasiosamente.

Se la fame è un piatto popolare, l’appetito è un piatto gourmet. Se la prima è plebea il secondo è un fine aristocratico.
In pratica si comportano come due “personaggi” antagonisti. E’ evidente che dove c’è molto dell’uno c’è poco dell’altro e viceversa. Quando la fame è tanta non si sceglie, mentre si tende a farlo quando è poca. Tuttavia le gioie culinarie migliori si hanno quando si riesce a trovare il giusto equilibrio tra i due; quando entrambi coesistono senza combattersi.
La perfetta sintesi in un detto popolare toscano:

“L’ora del desinare, pe’ ricchi quand’hanno appetito, pei poveri, quand’hanno da mangiare”

l’idea è che i poveri hanno sempre fame e quindi non possono soffermarsi a scegliere.



Mi fermerei ma la tentazione di continuare è “famelica“!
Ci sarebbe da esplorare il mondo simbolico cui i due “contendenti” fanno riferimento, ma s’andrebbe per le lunghe…
Ma non ce la faccio a resistere… Sarò breve.

Ebbene, anche sul piano simbolico i nostri due “contendenti” si collocano su opposte sponde. Non sono proprio due antagonisti ma si comportano come se lo fossero.

La fame ha il suo riferimento archetipale nella fine. Se essa non trova una soluzione si arriva inevitabilmente alla parte conclusiva del dramma, la morte.
Molto popolare l’espressione “muoio dalla fame!” che infatti sintetizza il concetto e introduce il doloroso scenario della “fame nel mondo“. I questo caso si percepisce come sarebbe oltremodo oltraggioso usare la parola appetito. E’ così tragicamente insolente da essere improponibile, come se la mente la rimuovesse ab origine.
Analogamente per indicare le modalità di tragici e lunghi assedi, soprattutto in epoca antica o medievale, si usa dire: “la città è stata presa per fame!” e anche in questo caso, nessuno proporrebbe la parola appetito, che risulterebbe terribilmente fuori luogo.

Una espressione drammatica che si usa in medicina è “fame d’aria” per indicare importanti difficoltà respiratorie, che si possono verificare in molte situazioni, tra cui una per tutte: l’asma. Situazioni che hanno in comune la caratteristica di essere legate a doppio filo con le circostanze drammatiche che portano al fine vita.

L’appetito ha un riferimento archetipale opposto. Se la fame deriva la sua esistenza dalla morte, l’appetito trae la sua forza dalla vita.
Se la prima è figlia dell’ombra, il secondo è emanazione diretta della luce.
Così definisce l’appetito la Treccani:

“desiderio di mangiare non sempre connesso a un reale bisogno di cibo, che è proprio della fame.”

L’appetito è voglia di vivere, di scoprire, di creare, di ricordare, di coccole, di conoscere, di tutto quanto fa parte, in modo ottimistico, del vivere.
Una espressione illuminante: “appetito sessuale!“. In questo caso non avrebbe senso parlare di fame; sarebbe una parola che toglierebbe vita al concetto che invece si vuole esprimere.
La fame è masturbazione, è “basta che respiri“;
l’appetito è: “mi piaci“, è “ti amo“, è coinvolgimento.

Intendiamoci: se l’archetipo della fame è la morte, non vuol certo significare di esserne sopraffatti. Anzi, se ne devono avvertire i “morsi” per valutare l’importanza della perdita e cercare di superarla.
E’ come camminare sul bordo di un precipizio, puoi fare due scelte importantissime, esattamente l’una contraria a l’altra.
La fame pur avendo in sé un carico potenzialmente distruttivo, vuole essere l’avvertimento per farci operare la scelta che porta alla vita.
Ci dice:

“Ti avverto perché tu possa vivere, ma la decisione spetta in ultimo a te”.

Il desiderio di “placare” la fame ha in sé la voglia di vivere.
Il desiderio di “soddisfare” il proprio appetito ci mantiene accesa la luce sull’infinito girotondo della vita.
Chi soffre di anoressia ha disinteresse o è addirittura disgustato dal cibo. Di conseguenza, esprime disinteresse, fino al disgusto, per la vita.
Così l’obeso e il bulimico non vedono particolarmente rilevante la qualità del cibo, ma la sua quantità.
Chi soffre di questi disturbi non ha una visione integrale della vita. E’ come se avesse degli scotomi che lo costringono ad una visione parziale e negativa della propria esistenza. Riesce a stento a dare rilevanza alla quantità del cibo, mentre disconosce la qualità.
L’anoressico e l’obeso-bulimico, di fronte al precipizio sono tentati dalla scelta estrema.
Non riescono a trovare la chiave che dia un senso alla loro vita e quindi sono attratti da scelte che possono mettere seriamente in pericolo la loro esistenza. Vorrei chiudere con un detto toscano che sintetizza bene queste argomentazioni:

Aver fame e non gradire, aver sonno e non dormire, son due cose da morire.”